Solidarietà alla FAU/AIT

 

La Germania è uno Stato che a livello internazionale cerca di apparire come un fulgido esempio di democrazia pur violando il diritto più elementare dei lavoratori: quello di sindacarsi liberamente. Nel trascorso 11 dicembre, il tribunale tedesco ha proibito l’attività sindacale della FAU-Berlino e, conseguentemente, dell’intera organizzazione sindacale tedesca. La sentenza va oltre la mera repressione dei diritti sindacali della FAU-Berlino poiché le ha vietato di definirsi “sindacato”. Precedenti
Dal giugno 2009,
la FAU-Berlino, ha iniziato una controversia di lavoro con il Cinema Babylon-Berlino per la definizione di un Accordo Collettivo. Questo conflitto ha avuto ripercussioni in tutto lo stato. Gli anarcosindacalisti in lotta hanno attuato un boicottaggio molto efficace che ha avuto una vasta eco mezzi di comunicazione che hanno pubblicizzato le richieste complete e innovative così come la partecipazione in prima persona dei lavoratori.  Nella vicenda – poiché i gestori dell’azienda non potevano sottrarsi alla negoziazione – è intervenuto anche il sindacato ufficiale Ver.di, aderente alla DGB, organizzazione che non ha alcuna rappresentanza aziendale all’interno della catena dei Cinema-Babylon ma che è andata a negoziare direttamente con la dirigenza del cinema. Dietro a questo negoziato c’è un patto tra i partiti politici nel governo di Berlino, il sindacato Ver.di e la dirigenza dell’azienda per narcotizzare la situazione e mettere da parte la FAU organizzandole contro una campagna che comprende diverse metodiche repressive: Il tribunale ha vietato alla FAU l’adozione di strumenti di lotta come il boicottaggio e le ha inibito la capacità di negoziare accordi collettivi mentre i gestori della catena dei Cinema l’hanno citato in giudizio varie volte.La situazione in GermaniaIl citato “sindacato unico” (la DGB) detiene un monopolio corporativo giuridicamente protetto  che previene e impedisce lo sviluppo di sindacati alternativi. Concetti come auto-organizzazione e decentralismo associativo sono praticamente sconosciuti nei sindacati tedeschi e, naturalmente, oltre a non essere previsti non sono neanche voluti dal vigente sistema sindacale. Il lavoro della FAU-Berlino nella catena Cinema-Babylon non poteva essere tollerato dai sindacati di Stato e dai loro referenti politici che non possono rischiare di vedere l’estensione delle forme di lotta, per contagio. La dichiarazione di “illegalità” come sindacato, gettata addosso alla FAU, dovrebbe essere visto in questo senso. La sentenza del tribunale implica che non é possibile fondare e sviluppare sindacati liberi, perché, anche se è paradossale, fin dall’inizio, la qualifica di sindacato dipende dalla sua ammissione e accettazione nell’organizzazione ufficiale. La FAU è stato per due volte condannata al pagamento di una multa di € 250.000 multa e con la reclusione in caso di nuova violazione della sentenza. Ciò comporta che dopo la predetta sentenza non è più possibile per la FAU il lavoro sindacale “legale”. L’anarcosindacalismo tedesco si vede minacciato da nuovi proibizioni dopo quelle del 1914 e del 1933. L’Ambito
Il campo di applicazione della sentenza è notevole e, in caso di permanenza, equivarrebbe ad una catastrofe per il sindacalismo, perché dopo la risoluzione,
la FAU-Berlin può essere considerata una unione vietata e, tale sentenza, può essere trasferita a tutta la FAU tedesca e questo rappresenta un banco di prova nel conflitto che oppone lo stato e il padronato al movimento sindacale in genere, nella sua interezza. Nessun’altra alternativa è più possibile. L’autorganizzazione operaia e la libertà sindacale sono ulteriormente istituzionalizzate. Come USI-AIT non possiamo permettere che siano calpestati i diritti dei lavoratori in tutto il mondo, men che meno quando si tratta di una organizzazione come la FAU, partner internazionale dell’AIT. Chiediamo pertanto con forza la revisione del processo, la revoca della sentenza e il rispetto della libertà sindacale in uno stato – come quello tedesco –  che dice di essere rispettoso dei diritti umani così come la cessazione delle minacce e delle azioni repressive contro FAU.Questo precedente è gravissimo, anche in Italia si rischia che i sindacati di base possano vedersi ulteriormente limitati i propri diritti a favore della concertazione tra confindustra-potere politico e sindacati concertativi (CGIL-CISL-UIL)su http://www.fau.org/verbot ulteriori informazioni su altri modi di esprimere solidarietà. Inutile dire che è importantissima la massima diffusione delle inforrmazioni su questa vicenda. Indicate il sito dedicato, www.fau.org/verbot e non dimenticate di mandare messaggi di solidarietà e resoconti delle vostre iniziative di solidarietà a soli@fau.org. Per qualsiasi domanda scrivete a faub5@fau.org.

SOLIDARIETA’ ALLA FAU!! USI/AIT sezione di Parma

Per contatti: usi-aitparma@libero.it

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Totale solidarietà al sindacato FAU-AIT

UNIONE SINDACALE ITALIANA-SEZIONE DI PARMA

 L’11 dicembre 2009, la Corte distrettuale di Berlino ha deciso che il  Sindacato dei Liberi Lavoratori di Berlino (FAU-B) non potrebbe più autodenominarsi come sindacato o come sindacato di base. Questo è il culmine di una serie di tentativi della Neue Babylon Berlin GmbH di stroncare legalmente il sindacato più forte e più rappresentativo all’interno della compagnia. Questo attacco al fondamentale diritto di libertà di associazione significa de facto bandire il sindacato. Solo i lavoratori possono decidere come vogliono organizzarsi" Totale solidarietà al sindacato FAU-AIT!

  Unione Sindacale Italiana-Sezione di Parma

Der Freien ArbeiterInnen Union Berlin (FAU) wurde am 11.12.2009 per einstweiliger Verfügung vom Landgericht Berlin verboten, sich als Gewerkschaft oder Basisgewerkschaft zu bezeichnen. Dies ist der Höhepunkt einer Reihe von Versuchen der Neuen Babylon Berlin GmbH juristisch gegen die stärkste und aktivste Arbeitnehmervereinigung im Betrieb vorzugehen.Nur der Arbeitnehmer entscheiden können, wie sie wollen, zu organisieren "uneingeschränkte Solidarität mit der Gewerkschaft FAU-AIT!

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IKEA: LA LOTTA PAGA

REINTEGRATO IL CARRELISTA LICENZIATO UN ANNO FA

 

Oggi il tribunale del lavoro di Brescia si è espresso a favore della riassunzione a tempo indeterminato presso Ikea Brescia del lavoratore Belmadani Azzedine, espulso dall’azienda nell’agosto 2008 assieme a tutto il comparto carrellisti, causa il cambio dell’appalto dell’impresa interinale che gestiva il servizio. La sentenza di oggi sancisce la vittoria della vertenza sindacale contro Ikea Brescia, durata più di tre mesi con presidi continui all’esterno del negozio ed altre iniziative di lotta. La battaglia sindacale, messa in campo dal collettivo di lavoratori autorganizzato "Senzatemponedenaro", federato all’ Unione sindacale italiana di Brescia, ha dato i suoi frutti nella giornata di oggi 24 novembre.

Collettivo Senzatemponedenaro – USI COMMERCIO

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COSA CI HA INSEGNATO LA LOTTA DEI LAVORATORI DELLA SPX DI SALA BAGANZA

Come sindacati di base attivi sul territorio parmense,intendiamo esprimere
alcune considerazioni sulla vicenda SPX Italia.

I lavoratori e le lavoratrici SPX di Sala Baganza (PR),dopo le prime avvisaglie
avute nel mese di giugno, a settembre si trovano materialmente di fronte alla
volontà da parte dell’azienda di licenziare (mettere in mobilità) 45
persone,attraverso un piano aziendale che vuole de localizzare in toto la parte
produttiva della sede locale in Francia e Germania,senza precise prospettive per
i reparti restanti. SPX (multinazionale statunitense),col suo stabilimento di
Sala Baganza ,non era in crisi; la delocalizzazione ed i licenziamenti
rappresentavano unicamente un riassetto organizzativo corrispondente alle
esigenze logistico-finanziarie della dirigenza internazionale.

I lavoratori e le lavoratrici SPX, che fino a quei giorni avevano lavorato in
una realtà “semifamigliare”, in un clima di “pace sociale”, senza conflitti e
con uno scarso livello di sindacalizzazione militante e partecipata, prendono
materialmente atto di essere unicamente pedine soggette ai voleri ed allo
sfruttamento padronali,cominciano a definirsi come tutti appartenenti ad una
classe(quella operaia) che ha interessi contrapposti rispetto alla classe padronale.
I lavoratori e le lavoratrici SPX decidono di confrontarsi con la loro
controparte attraverso la pratica del conflitto.
Passando sempre attraverso l’assemblea dei lavoratori: cominciano gli scioperi,
si attiva il presidio permanente davanti allo stabilimento,si vota
democraticamente l’estensione della delegazione trattante ad altri lavoratori
oltre le RSU, con la lotta e la fermezza delle proprie posizioni si conquista il
riconoscimento e l’ufficialità del “consiglio di fabbrica” al tavolo di
trattativa dell’unione industriali.

La lotta di questi lavoratori e lavoratrici per l’unità espressa,per la volontà
di portare avanti il conflitto, per la coscienza di classe che andava
maturando,ha rappresentato da subito un esempio per tutti.

Il presidio permanente alla SPX di Sala Baganza è diventato un punto di
riferimento per i dipendenti di altre aziende, la lotta e la determinazione per
conservare i posti di lavoro e riscrivere un piano industriale che rispettasse
la dignità di tutti hanno rappresentato un eccellente esempio di conflitto
operaio, dimostrando come né contractors, né guardie armate possano nulla contro
la determinazione della classe operaia, quando questa prende coscienza delle
continue umiliazioni che la classe padronale gli infligge.

I lavoratori SPX hanno saputo rispondere alle provocazioni e alla condotta
antisindacale dell’azienda,articolando diversamente le modalità di lotta e le
forme di sciopero, arrivando dopo diversi giorni di sciopero totale ad oltranza,
allo sciopero delegato dei reparti vitali, con il fine di colpire nel “cuore”
l’azienda razionalizzando le scarse risorse economiche disponibili tra i
lavoratori permettendo il proseguo ad oltranza della lotta.
La solidarietà materiale e politica di proletari,di singoli cittadini,di
comunisti e di libertari,di lavoratori tra i quali molti organizzati dai
sindacati di base,di giovani precari e di studenti antagonisti: è andata aumentando.

In alcuni casi il presidio alla SPX è diventato anche passerella per alcuni
volti politici locali e nazionali, pronti ad interpellanze e comunicazioni
parlamentari per dare risonanza alla lotta, a dichiararsi dalla parte dei
lavoratori;dimenticandosi molti di non corrispondere poi, con l’agire quotidiano
teorico-pratico, all’interesse della classe lavoratrice. Ne è un esempio Di
Pietro che con il suo partito (IDV) si proclama paladino dei deboli, ma che (per
esempio) nel parlamento europeo aderisce al gruppo dell’Alleanza dei democratici
e liberali per l’Europa,ovvero ad uno dei principali gruppi che promuovono
normative antioperaie e liberiste.

Oggi il segretario FIOM ricorda che sono passate 18.000 ore di sciopero e 56
giorni di presidio: un lungo periodo di lotta per i lavoratori.
Un lungo periodo di lotta anche per la FIOM,che nonostante sappia rappresentare
ed organizzare spesso bene il conflitto, alla fine deve comunque corrispondere
ed essere “compatibile” ad una realtà confederale concertativa e
collaborazionista come è la CGIL.
Allora diventa difficile rilanciare coi lavoratori provati dalla lunga
lotta,dalla propaganda padronale,dall’isolamento(nonostante la solidarietà di
molti proletari) che una lotta di fabbrica sperimenta nella società in cui
viviamo oggi.
Allora il terreno è fecondo per accompagnare la maggioranza dei lavoratori e
lavoratrici che tanto hanno saputo lottare, ad accettare un accordo definito
“positivo”.
Un accordo che non cambia i piani industriali della dirigenza SPX, che non
garantisce i livelli occupazionali né attuali, né futuri.
Un accordo che monetarizza l’espulsione di forza lavoro e che ascrive i
licenziamenti sotto la voce “mobilità volontaria”, con il ricatto occulto che
prevede la mobilità secondo i termini di legge nel caso in cui questi
“volontari” vengano a mancare alla data del 20/11.

I sindacati di base di Parma , che fin dall’inizio hanno messo a disposizione le
proprie risorse materiali e militanti per la battaglia dei lavoratori SPX,su
quel tenace esempio,invitano tutti i lavoratori ad organizzarsi
(indipendentemente dall’appartenenza sindacale) in comitati di lotta affinché le
vertenze conflittuali siano organizzate,gestite e dirette dai lavoratori in
prima persona senza deleghe e procure in bianco.

Per questa ragione i sindacati di base mettono a disposizione le proprie
agibilità per collegare i lavoratori delle diverse aziende,con l’obiettivo della
costruzione di un coordinamento operaio che sappia produrre iniziative e
piattaforme rivendicative proprie.

Come concreto contributo i sindacati di base hanno aperto una CASSA DI
RESISTENZA che verrà utilizzata per aiutare e sostenere le realtà di lotta che
continuano ad aprirsi sul nostro territorio.

I sindacati di base di Parma
CUB – RDB – USI/AIT
Parma, 12 novembre 2009

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SCIOPERO GENERALE 23 OTTOBRE

 

Manifestazione USI

– CONTRO QUALSIASI TENTATIVO DI FAR PAGARE I COSTI DELLA CRISI SOLO AI LAVORATORI CON L’AUMENTO DELL’ETA’ PENSIONABILE E IL BLOCCO DEI SALARI RISPETTO ALL’INFLAZIONE. BLOCCO DEI LICENZIAMENTI

 

 

– PER FORTI AUMENTI SALARIALI, SLEGATI DALLA PRODUTTIVITA’ AZIENDALE, PENSIONISTICI E LA GARANZIA A TUTTI DI REDDITO E SERVIZI ADEGUATI, RECUPERANDO RISORSE DALL’EVASIONE FISCALE E DAI PROFITTI, AMPLIANDO GLI AMMORTIZZATORI SOCIALI A TUTTI I LAVORATORI IN MODO CONTINUATIVO;

 

– PER L’ABROGRAZIONE DI TUTTE LE LEGGI BRUNETTA SUL PUBBLICO IMPIEGO,

 

– NO ALLA RIFORMA GELMINI E ALLA SCUOLA “AZIENDA”

 

– CONTRO TUTTI I PROVVEDIMENTI LEGISLATIVI E ACCORDI FRA PARTI SOCIALI, PRESENTI E PASSATI, TESI A LIMITARE LA LIBERTA’ DI SCIOPERO, CONTRATTAZIONE E RAPPRESENTANZA.

– PER L’ELIMINAZIONE DELLE SPESE MILITARI E CONTRO LE LOGICHE BELLICISTICHE E SECURITARIE. I RISPARMI DERIVATI DA QUESTE SPESE POTRANNO ESSERE UTILIZZATI PER CREARE NUOVA OCCUPAZIONE

 

 

– PER L’ELIMINAZIONE DI OGNI FORMA DI PRECARIETA’ LAVORATIVA E L’ASSUNZIONE A TEMPO INDETERMINATO DI TUTTI I LAVORATORI PRECARI E A NERO, PERCHE’ IL LAVORO SIA SOGGETTO DI FORTI INVESTIMENTI NELL’AMBITO DELLA SICUREZZA

 

– ABOLIZIONE DEL LEGAME TRA PERMESSO DI SOGGIORNO E CONTRATTO DI LAVORO, RITIRO DEL PACCHETTO SICUREZZA E LA CHIUSURA DEI CIE. ABROGRAZIONE DELLA LEGGE BOSSI-FINI

 

– PIANO STRAORDINARIO DI INVESTIMENTI PUBBLICI PER IL REPERIMENTO DI UN MILIONE DI ALLOGGI POPOLARI, TRAMITE UTILIZZO DI CASE SFITTE E MEDIANTE RECUPERO, RISTRUTTURAZIONE E REQUISIZIONI DEL PATRIMONIO IMMOBILIARE ESISTENTE, BLOCCO DEGLI SFRATTI, CANONE SOCIALE PER I BASSIREDDITI

 

 

– PIANO DI MASSICCI INVESTIMENTI PER LA MESSA IN SICUREZZA DEI LUOGHI DI LAVORO E DELLE SCUOLE, SANZIONI PENALI PER GLI OMICIDI SUL LAVORO E GLI INFORTUNI GRAVI

CASSA INTEGRAZIONE ALMENO AL 80% DEL SALARIO PER TUTTI I LAVORATORI/ICI, PRECARI COMPRESI, CONTINUITA’ DEL REDDITO PER I LAVORATORI ” ATIPICI”

-BOLOCCO DELLE PRIVATIZZAZIONI

-CONTRO UN RITORNO DEL NUCLEARE

-BLOCCO DELLE GRANDI OPERE. MESSA IN SICUREZZA DI TUTTE LE ZONE A RISCHIO E MIGLIORAMENTO DELLE INFRASTRUTTURE GIA’ ESISTENTI.

Presidio dalle 9.30 alla SPX di Sala Baganza in solidarietà ai lavoratori in lotta

Sez. di Parma dell’ Unione Sindacale Italiana/AIT

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Comunicato di solidarietà ai lavoratori SPX-italia

I lavoratori della sezione di Parma dell’ USI/AIT vogliono esprimervi totale solidarietà. In una situazione così drammatica la scelta migliore è stata l’indizione dello sciopero ad oltranza, presidiando permanentemente la fabbrica. Nulla dovrà uscire dalla vostra fabbrica.Vediamo nella decisione scellerata della direzione di licenziare 45 lavoratori e spostare la produzione, solo il tentativo di speculare sui lavoratori a profitto dei propri interessi economici. In questo modo metterebbero in crisi molte famiglie. Ovviamente lo spostamento della produzione e dei magazzini è solo un primo passo, probabilmente ne presumerà altri.La crisi economica e finanziaria esplosa a livello mondiale, colpendo prima le borse poi successivamente come un domino tutto il sistema produttivo, ha smascherato il vero volto del sistema attuale e ha mostrato la natura dei vari dirigenti, imprenditori, finanzieri, manager…Vi vogliamo ricordare la dura lotta all’INNSE Presse di Milano dove i lavoratori hanno occupato la fabbrica e hanno continuato la produzione, contro la chiusura imposta dal proprietario, seguita da un lungo periodo di presidio. Non pensate che in questa situazione generale di crisi una scelta così importante possa essere un freno, anzi dovete guardare avanti. Proprio durante la crisi economica del 2001 in Argentina i lavoratori della Zanon Ceramiche (www.obrerosdezanon.com.ar) hanno preso in mano la produzione dello stabilimento e la stanno tuttora portando avanti con degli ottimi risultati; aumento della produzione e dei posti di lavoro, ricerca e ammodernamento, aumento della sicurezza, redistribuzione del fatturato, parte dei guadagni utilizzati nel sociale, le decisioni per la vita della propria fabbrica prese collegialmente. Questo è il loro “Piano Industriale”. I lavoratori stessi devono compiere lo sforzo per non cadere nel vortice della crisi, tenendo saldo il tessuto sociale prendendo delle decisioni drastiche. Perché l’azienda è vostra, ogni giorno vi siete impegnati a mandarla avanti nel miglior modo possibile, quindi spetta a voi continuare la produzione. Noi cercheremo con i nostri mezzi d’aiutarvi in qualsiasi modo, attivandoci se necessario a livello nazionale e anche internazionale. Il primo maggio siamo scesi in piazza con lo slogan:  LA CRISI SIETE VOI, LA SOLUZIONE SIAMO NOI!!   

 

Per solidarietà gli operai: gabs14@alice.it 

Per la cassa di solidarietà: Bonifico Bancario sul conto corrente intestato a Darecchio Stefania e Morini Antonio presso Banco Posta – Parma.
IBAN IT 23 Y 07601 12700 000098722317

Chiediamo a tutti come gesto di solidarietà, mandare questo comunicato di protesta alla sede europea:

Solidarietà ai lavoratori SPX Italia in lotta contro la minaccia di licenziamento per 45 lavoratori/lavoratrici

You caused the crisis and we are paiyng for it!!

alex.waser@spx.com (è il capo europeo) 

SPX Service Solutionsporschestrasse

4Hainburg Germany 63512

0049 6182 959 100 

 

 

 

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Da un articolo del mensile libertario “Cenerentola”:

Le radici della crisi attuale si trovano, come abbiamo più volte scritto su Cenerentola, nel progressivo impoverimento dei lavoratori, cominciato agli inizi degli anni ’80 con i processi di deregolamentazione e privatizzazione, lanciati dalla signora Thatcher nel Regno Unito e da Reagan negli Stati Uniti. È interessante esaminare, sia pure schematicamente, il percorso che in questi decenni ha consentito di mantenere elevato il livello dei consumi americani pur in presenza di una riduzione del potere d’acquisto dei salari. Durante gli anni ’80 le famiglie erano partite con una buona dotazione patrimoniale, costruita grazie all’accumulo di risparmio derivante dai redditi percepiti nei decenni precedenti. Insomma, all’inizio c’erano “scorte monetarie” da consumare. Nel corso degli anni ’90 è stato l’ottimo andamento dei mercati finanziari a garantire la propensione al consumo, in virtù dell’ “effetto ricchezza” derivante dall’aumento del valore dei risparmi (in primis dei fondi pensione) di proprietà delle famiglie. La caduta della borsa, in coincidenza con lo scoppio della bolla della new economy, ha posto fine a quell’allegro periodo. Così, il primo decennio del nuovo secolo ha visto i consumi delle famiglie americane crescere sulla base dell’indebitamento, facilitato dal basso livello dei tassi di interesse garantito dalla Fed di Greenspan. Quando, per una serie di motivi (quali il costo della guerra in Iraq, il deprezzamento del dollaro, il riaffacciarsi di sintomi inflazionistici) la banca centrale americana ha proceduto ad aumentare i tassi, anche l’ultimo ciclo di creatività finanziaria si è concluso. Questa volta con una drammatica recessione mondiale.Potranno inventarsi qualcos’altro? Probabilmente no. Il motivo per cui vi sono limitati margini per trovare un altro “trucco” che permetta di sostenere i consumi Usa senza aumentare le retribuzioni dei lavoratori è che, negli Stati Uniti, i soldi veri sono finiti. Le scelte politiche e sociali che hanno caratterizzato le epoche sommariamente descritte sopra hanno avuto una conseguenza inimmaginabile: mettere in ginocchio la maggiore economia mondiale!Oggi, in America, i consumatori sono poveri e non vi è più nessuna istituzione finanziaria disposta a fare loro credito. La massiccia campagna di saldi varata questa estate dai negozi americani ha avuto l’effetto di attrarre frotte di entusiasti turisti europei, ma ha richiamato ben pochi statunitensi. Ecco il motivo per cui, lucidamente, la nuova amministrazione Obama sta cercando di sostituire i consumi privati con la spesa pubblica per infrastrutture, sanità e sviluppo di fonti energetiche rinnovabili. In tale contesto, l’enfasi  posta  sullo sviluppo delle energie alternative ha due precise finalità: ridurre la dipendenza degli Usa dal petrolio straniero e far ripartire un processo di reindustrializzazione all’interno del paese. Il primo obiettivo, se conseguito, permetterebbe di mettere alle strette, dal punto di vista economico, molti regimi petroliferi che oggi sono, apertamente o subdolamente, antiamericani (Venezuela, Iran, Russia, Arabia Saudita). Colpisce il fatto che lo sviluppo di energie rinnovabili sia uno dei capisaldi dell’imponente piano di stimolo varato dal governo di Pechino: sembrerebbe proprio che in questa partita Cina e America giochino nella stessa squadra. Il secondo punto, ossia la reindustrializzazione dell’economia americana, è il disperato tentativo della componente più lungimirante della classe dirigente degli Stati Uniti per ricostruire un sistema produttivo logorato da trenta anni di finanziarizzazione. Quasi tutti gli osservatori si concentrano sui danni finanziari subiti da banche e hedge fund, quando il problema centrale è, oggi, il fatto che la base industriale degli Usa si è pericolosamente assottigliata. Uno degli insegnamenti di questa crisi è che, per qualsiasi nazione, non c’è sostenibile ricchezza economica senza una strutturata capacità produttiva nell’industria.Industria significa anche lavoro per operai, formazione di manodopera qualificata, ricerca tecnologica e lo sviluppo di un indotto che permetterà di far fluire verso ampi strati della popolazione una parte dei redditi che fino ad oggi andavano altrove. Non stupisce, in tale contesto, rilevare come oggi in America vi sia un occhio di riguardo nei confronti della sindacalizzazione dei lavoratori, ritenuta un fattore in grado di aiutare il processo di redistribuzione del reddito. Infatti, per fornire una solida base alla futura ripresa, è necessario venga ricostituito il patrimonio delle famiglie americane. A questo fine contribuiranno sia fenomeni “automatici” (uno dei primi effetti della crisi è stato proprio l’aumento della propensione al risparmio degli Statunitensi), sia opportune politiche governative.Il quadro idilliaco appena tratteggiato presenta, in realtà, diverse incognite. Naturalmente, le lobby finanziarie e, più in generale, le componenti conservatrici del mondo politico ed economico Usa cercheranno di mettere i bastoni tra le ruote del presidente. Questo è ovvio. Ma non è l’unico problema che dovrà affrontare Obama e, probabilmente, neanche il principale. Il vero aspetto, del tutto nuovo per gli Stati Uniti, è che le scelte di politica economica adesso dipendono dai soldi che i dirigenti cinesi sono disposti a prestare al governo federale. La grande nazione nordamericana ha perso buona parte della sua autonomia di bilancio. La condizione delle casse statali si presenta drammatica: il documento “Economic Indicators – May 2009”, realizzato dal Council of Economic Advisers e presentato al Joint Economic Committee del Congresso degli Stati Uniti, prevede, per il 2009, un deficit del bilancio federale pari a 1800 miliardi di dollari (circa il 13% del Pil) e un debito pubblico superiore ai 12800 miliardi di dollari (più del 90% del Pil). Tali cifre indicano che il rischio insolvenza del governo degli Stati Uniti non è più un’eventualità da escludere a priori. Il disperato bisogno di prestiti pone gli Usa in una condizione di ricattabilità da parte dei suoi creditori. Questa è una novità di portata inimmaginabile che ben spiega i toni sommessi dell’attuale politica estera americana.Per garantirsi il denaro necessario a finanziare le proprie politiche interne, all’amministrazione Obama non è bastato promettere che avrebbe rimborsato il debito. L’esecutivo americano ha dovuto abbozzare un piano di rientro dal deficit, un po’ come sono stati costretti a fare i tanti governicchi che si sono alternati nella storia della fragile italietta. Secondo quanto previsto dagli Stati Uniti, nei prossimi anni il bilancio federale dovrebbe trarre vantaggio dal ritiro delle truppe americane dall’Iraq, da tagli di alcune spese pubbliche e da una maggiore pressione fiscale sui redditi più elevati. Sono indicazioni ancora troppo generiche per avere consistenza e credibilità. Come si può ben intuire, riportare a casa i soldati dal Medio Oriente comporta dei rischi di tenuta del regime iracheno, tagliare le spese pubbliche e aumentare le tasse ai ricchi è un’impresa più facile da annunciare che da attuare.Anche ammettendo che il presidente riesca a uscire dal pantano iracheno, superare gli ostacoli interni e convincere i Cinesi a continuare ad acquistare titoli di Stato Usa, non vi è garanzia che il suo progetto abbia successo. Si troverà un’efficiente alternativa energetica al petrolio? La lobby petrolifera riuscirà ad impedirne l’adozione? Le imprese Usa vinceranno l’agguerrita concorrenza internazionale in tale campo? Il Congresso approverà la riforma sanitaria? Il complesso militar-industriale non vanificherà il disimpegno dalla guerra perseguito dal presidente? Questi sono solo alcuni dei tanti punti interrogativi che costellano il percorso del mandato di Barack Obama!Inoltre, non va trascurata la possibilità che, alla luce della difficile situazione in cui versa l’America, si inneschino dinamiche incontrollate di fuga dal dollaro. A giustificare tale azione potrebbero concorrere ragioni tanto economiche, quanto di ordine geopolitico. Le prime potrebbero motivare molti paesi esportatori di materie prime e di manufatti, le seconde potrebbero invogliare potenze (piccole e grandi) antagoniste degli Usa come Russia, Venezuela, Iran. La possibilità di un’improvvisa ondata di vendite di titoli denominati in dollari sui mercati mondiali espone il sistema monetario internazionale ad un permanente pericolo di collasso. La spiacevole verità è che questa crisi ha una valenza sistemica e non solo non durerà poco (come invece vorrebbero convincerci) ma, soprattutto, sta sconvolgendo il quadro economico e geopolitico mondiale. Le cose non torneranno più come prima. Faremmo bene a tenerne conto.

Toni Iero

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Perchè le crisi sorprendono sempre gli economisti?

Per l’ennesima volta, gli economisti (tranne poche eccezioni) non sono stati capaci di anticipare l’arrivo di una tempesta finanziaria, nella circostanza attuale quella derivante dallo scoppio della bolla immobiliare americana. Ma se un economista non è in grado di segnalarci l’arrivo di un uragano economico, cosa ci sta a fare? Un argomento così scottante è stato trattato, nelle scorse settimane, in un seminario tenuto presso la British Academy incentrato proprio sulla domanda “perché nessuno ha previsto la crisi?”.Non vi è dubbio che l’incapacità predittiva della scienza economica (e dei suoi professionisti) ne comprometta seriamente l’immagine e, in definitiva, la sua stessa credibilità. A cosa servono tutti quei professoroni (spesso antipatici, viste le arie che si danno) se non sono in grado di prevedere neanche crisi di questa entità? Fin dalle origini, all’inizio del XVIII secolo, si è voluto presentare lo studio dell’economia come una disciplina affine alle scienze naturali (fisica, biologia, etc.), perciò con una forte valenza previsionale. Sono ormai passati tre secoli, trecento anni di fallimenti in campo predittivo. Che vi sia qualcosa da rivedere? È di questa opinione Robert Skidelsky, autorevole biografo di Keynes. In un recente articolo, egli sostiene che le semplificazioni adottate per rendere utilizzabile la teoria neoclassica del mercato efficiente, in definitiva, hanno portato a creare nelle teste di tanti economisti un mondo virtuale, ben diverso da quello reale in cui tutti gli altri vivono. Responsabile di ciò è «una persistente inclinazione dell’economia a descrivere in modo idealizzato il comportamento umano»1. Tale idealizzazione sta alla base della costruzione e applicazione di modelli matematici che pretendono di simulare il comportamento degli operatori economici. Tuttavia l’introduzione di tale modellistica non sembra aver portato vantaggi alla disciplina economica. Anzi, la dissennata applicazione della matematica a schemi non in grado di cogliere aspetti centrali del funzionamento economico ha portato banchieri ed economisti a salutare (ed adottare), come novità apportatrici di efficienza e stabilità, alcune attività, tipico il caso delle cartolarizzazioni, che, invece, aumentavano il rischio di implosione del sistema (come purtroppo si è dolorosamente sperimentato dal vivo).
Va poi aggiunto come la teoria economica dominante abbia rappresentato anche un comodo alibi per giustificare “scientificamente” la straordinaria disparità di redditi che i rapporti di forza tra le classi sociali hanno creato nelle società occidentali nel corso degli ultimi decenni. Non va molto lontano dal vero chi ritiene che, nei fatti, una discreta parte degli economisti abbia operato come propagandista degli interessi dei ceti dominanti, plaudendo ad un sistema iniquo rivelatosi poi anche insostenibile.
Il professor Robert Skidelsky propone, seguendo il motto keynesiano «L’economia è una scienza morale, e non naturale», di cambiare il percorso formativo degli economisti associando alle materie economiche «la storia economica e politica, la storia del pensiero economico, la filosofia morale e politica e la sociologia.»2.Un richiamo di buon senso che ha anche il pregio di identificare la macroeconomia come un fattore determinante per l’arte di governo. Arte e non scienza. L’utilizzo di modelli semplificatori della realtà è un aspetto fondamentale in qualsiasi campo della ricerca, ma esso deve rappresentare uno stimolo per ragionare. Troppo spesso, invece, il principale pregio di molta della matematica usata dagli economisti è quello di evitare la noiosa attività di pensare. D’altra parte, come si è visto, i modelli matematici costruiti per le previsioni economiche funzionano bene proprio quando non servono, ossia nelle fasi del ciclo in cui non accade nulla di rilevante. Per fare un’analogia, sarebbe come se gli astronomi ogni sera ci comunicassero con enfasi che l’indomani il sole sorgerà ad Est, ma si facessero cogliere impreparati tutte le volte che si manifesta un’eclissi. Che opinione avremmo di siffatta astronomia?Apro una piccola parentesi per un argomento che ritengo strettamente collegato alla questione della (in)capacità previsionale degli economisti. Per decenni, molti libertari hanno vissuto un senso di inferiorità nei confronti del mondo marxista poiché quest’ultimo si fregiava di possedere una solida base di analisi economica. In realtà, come oggi appare sempre più chiaro, molti degli assiomi su cui è stato edificato il marxismo appartengono ad una disciplina (l’economia) dimostratasi incapace di prevedere alcunché. Vi ricordate la definizione di socialismo scientifico altezzosamente contrapposta alla progettualità libertaria? Cos’hanno di scientifico dogmi incontestabili, un profeta (Marx) che tutto ha visto e previsto, un apparato autoritario per cui la verità è appannaggio del segretario del partito del momento? Non scherziamo, la scienza è tutt’altra cosa ed è basata sul metodo. Questa parola, metodo, riveste un ruolo importante proprio nella pratica adottata dal movimento libertario: l’approccio scientifico è tipico del nostro mondo e faremmo bene a ricordarlo più spesso, in primis a noi stessi. Alla luce di queste considerazioni, è poi così sorprendente che le società costruite sull’ideologia marxista, prima di implodere proprio a causa della loro inefficienza economica (curioso, no?), abbiano dato vita ad alcune tra le peggiori dittature apparse sul pianeta?
Toni Iero

 

 

1 Robert Skidelsky, Perché gli economisti non hanno visto la recessione?, Il Sole 24 Ore, 7 agosto 2009

 

 

2 Ibid.

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FESTA DELLE BARRICATE ANTIFASCISTE

Barricate del 1922 contro l'orda fascista
 X Edizione
 
 Domenica 20 settembre – dalle ore 15:00, Piazzale Picelli – Parma 

Mostre fotografiche sulle barricate del 1922

Banchetti con libri e materiali di collettivi e associazioni del movimento antagonista

 

15:30

Laboratorio per bambini

 

16:30

Visita ai luoghi dell’antifascismo in Oltretorrente

 

17:30

Lettura animata – illustrazione – laboratorio finale (per bambini)

 

18:00

Dibattito pubblico: Per contrastare il nuovo “rispettabile” fascismo

 

19:30

Festa Popolare

 

21:30

Bicchierata antifascista

  
 
 In caso di pioggia la festa si terrà domenica 27 
 
 
 
 
                    A cura del “Comitato antifascista Agosto 1922”

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9 SETTEMBRE; IO NON HO PAURA

La sezione di Parma dell’USI, ha aderito all’iniziativa dell’ Assemblea "Io Non Ho Paura".

Qui sotto il comunicato:


Il re è nudo ma i sudditi sono disciplinati. Forse!

Di una cosa siamo certi, lo strumento dell’ordinanza estiva è una prassi frequente della nostra amministrazione.

I vacanzieri, quest’anno pochi a causa della crisi, torneranno dalle ferie con qualcosa che limita ulteriormente la propria libertà. Infatti il 23 luglio è entrato in vigore il decreto che vieta, con pesanti multe fino al ritiro della licenza, la somministrazione di alcolici dopo le ore 21 da parte di quei locali “non conformi” agli status identificati dall’assessore alla sicurezza Fecci.

Ciò che  ci sconvolge di questa delibera sono i chiari segnali politici che l’amministrazione ha deciso di dare. Sembra chiaro l’attacco agli esercizi commerciali gestiti da migranti, come le pizzerie al taglio e i negozi di kebab.

La nostra amministrazione, ormai spinta verso le posizioni razziste della Lega, accoglie un principio già sperimentato da altri comuni italiani: tentare a colpi di ordinanze di chiudere ogni luogo gestito o frequentato da migranti, in nome di uno strano concetto di decoro urbano. Questi decreti vengono spesso giustificati dal bisogno di limitare il consumo di alcolici da parte dei giovani e di tenere pulite le strade da coloro che urinano. Ma dov’è la connessione urina-venditori di kebab? E poi, in una città che si definisce europea, accogliente ed educata, dove sono i bagni pubblici?

Ricordiamo inoltre la somiglianza di questo decreto amministrativo con quello del 2005,
ovvero l’ordinanza sui servizi igienici che ha determinato la chiusura di molti phone center in via XX settembre.  La storia sembra ripetersi.

E’ preoccupante che con la crisi economica che attanaglia soprattutto le fasce più deboli della popolazione, l’amministrazione comunale si arroghi il diritto di scegliere dove possano o non possano consumare i propri cittadini. Infatti, con la mancanza di strutture sociali, come mense a prezzi contenuti e luoghi di aggregazione per i giovani, le pizzerie al taglio e i venditori di kebab
offrivano la possibilità di bere e mangiare a poco prezzo. Con questo decreto si spingono invece le persone con redditi bassi a rimanere chiuse in casa, impossibilitate a permettersi una spesa nei locali “conformi”. Inoltre i  locali oggetto di questo attacco sono nelle zone della città frequentate soprattutto da coloro che vivono gli spazi pubblici come luoghi di socialità. L’ordinanza farà in modo di svuotare ulteriormente le strade e le piazze, cosa che sta già avvenendo con l’enorme dispiegamento di forze dell’ordine e guardie private che allontanano i cittadini dagli spazi pubblici dopo l’una di notte.

Ma il re è nudo!

E’ chiaro a tutti infatti che con queste ordinanze (l’attacco ai phone center nel 2005, quello ai venditori di kebab e pizzerie di questa estate,  la guerra ai senza dimora,  sanzionati con multe di 500 €!!)  l’amministrazione sta mettendo in pratica la sua idea di riqualificazione urbana.
Un’idea che passa immancabilmente dallo svuotamento del centro storico, affinché possa diventare a tutti gli effetti il bacino di speculazione edilizia dei tanti costruttori ed imprenditori che aspettano di poter fare profitti sui progetti faraonici della nostra amministrazione (si pensi all’Ospedale vecchio, alla Ghiaia e all’area stazione). L’Oltretorrente ed il quartiere San Leonardo
sono i nuovi luoghi da disciplinare. Se questo avverrà per manu militari o per ordinanze ad hoc costruite per allontanare i soggetti non utili al nuovo progetto di città,  non deve interessare noi cittadini. In quanto sudditi abbiamo l’unico diritto di osservare, dall’esterno, la distruzione del luogo in cui viviamo.

Ma dobbiamo opporci a questo disegno. Un piano che vuole distruggere la città, che vuole renderla dominio di pochi e non patrimonio comune di tutti. Cominciamo a costruire la nuova città che stiamo sognando!

                APPUNTAMENTO PER TUTTE/I  MERCOLEDI 9 SETTEMBRE ALLE ORE 21

                                                             IN VIA D’ AZEGLIO 
                                                 SOTTO LA STATUA DI CORRIDONI

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