REFERENDUM O LOTTA?

Il 12 giugno si terranno quattro referendum, di cui almeno due di grande e ovvia rilevanza: quello sul nucleare e quello sull’acqua. Rilevanza ovvia visto che si tenta, da parte governativa, di rimettere in discussione la scelta antinucleare (già fortemente espressa dalla maggioranza degli italiani nel 1987) con un recente decreto che prevede “l’introduzione e l’utilizzo di impianti nucleari di terza generazione” e nel secondo, di attuare una vera e propria privatizzazione delle risorse idriche (decreto Ronchi). Si tratta di referendum abrogativi, ovvero per la scelta antinucleare e antiprivatizzazione si dovrà votare sì. I referendum si terranno regolarmente perché sono stati dichiarati ammissibili, anche quello antinucleare, nonostante la moratoria sui processi di nuclearizzazione dichiarata furbescamente dal governo Berlusconi dopo la tragedia di Fukushima, perché di moratoria si tratta e non di rinuncia alle politiche nucleari.

Il rischio, a nostro avviso, non è tanto che i referendum non passino, quanto che non si raggiunga il quorum necessario dei votanti. Infatti, a parte i trucchetti del governo, l’oscuramento mass-mediatico sulla questione è quasi totale e si sa, per molti la realtà è solo quello che veicolano tv e giornali.

Detto questo non ci pare neppure il caso di insistere sulle ragioni dell’opposizione al nucleare e alla privatizzazione dell’acqua. Sono questioni che ci toccano da vicino e che fanno parte dei temi della devastazione ambientale e dell’accaparramento del risorse naturali e su queste crediamo che da parte di molti un minimo di riflessione onesta non possa che condurre ad una opposizione di qualche tipo.

Il problema è piuttosto che rapporto ci sia, in generale, tra le lotte condotte sul campo da popolazioni locali (citiamo solo la Val di Susa  – dove le lotte No-Tav proseguono con radicalità e azione diretta – e Terzigno o altre che si danno o potrebbero darsi contro discariche, inceneritori o smaltimento scorie radioattive o eventualmente la costruzione di nuove centrali) e l’arma referendaria, dunque istituzionale.

Molti libertari sono astensionisti attivi e tuttavia dell’astensionismo non fanno un dogma, ma piuttosto una coerenza con principi in continuazione verificati. E’ anche vero che i referendum non comportano una delega più o meno permanente, ma comunque assegnano ad una pratica istituzionale l’espressione di una supposta volontà popolare. Dunque, se non fosse raggiunto il quorum necessario, anche se prevalessero i sì, il risultato politico reale sarebbe quello di un pesante sconfitta degli anti-nuclearisti e dei fautori dell’acqua bene pubblico. E ciò porrebbe una pesante ipoteca sulla possibilità di sviluppo di futuri movimenti di lotta. Di questo dovrebbero diventare ben consapevoli i sostenitori dell’arma referendaria: non ci sono scappatoie istituzionali, le lotte condotte in prima persona e fondate sull’azione diretta sono l’unica arma dei lavoratori e degli sfruttati, le loro rappresentazioni dislocate nelle urne servono solo ad avvalorare la fandonia che il sistema sociale nel quale viviamo garantisca forme democratiche di espressione della volontà popolare.

I referendari ci hanno messo in uno sgradevole cul-de-sac: se il referendum passa contribuirà ad alimentare illusioni sulla democraticità della nostra società, se non passa sarà ipotecata la possibilità di far nascere un grande movimento di lotta contro la devastazione ambientale e speculazione sulle risorse.

Andare a votare, e votare sì, ha senso solo se dopo il referendum ci si impegnerà, in prima persona, per lo sviluppo di una campagna di lotte, fondate sull’azione diretta, contro tutti i mali e le aberrazioni di questo sistema sociale, altrimenti rimarrà solo un segno su di un pezzo di carta, inutile come tanti altri e buono solo a sgravare false coscienze.

 

Segreteria nazionale USI-AIT

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